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Carissimi parrocchiani, reagliesi, e amici tutti,
eccoci in questo 2020 a celebrare un Natale molto particolare.
Quando, lo scorso Natale celebrammo la Messa della Notte e dopo, ci riunimmo nel salone a scambiarci gli auguri condividendo una fetta di panettone e sorseggiando qualche bevanda calda, non immaginavamo che al Natale successivo tutto questo ci sarebbe stato tolto.
In questo Natale partecipiamo a due Messe serali (h.17,30 e 20) per evitare gli assembramenti, teniamo le distanze, usiamo le mascherine, ci asteniamo dai saluti ravvicinati e sconsigliamo alle persone fragili di partecipare. Pensate quanta tristezza ci opprimerebbe se non disponessimo almeno degli strumenti di comunicazione che rimediano, in parte, all’invalicabile lontananza.
Aleggia un clima di timore: sperimentiamo la precarietà della nostra esistenza e quando ci salutiamo ci viene spontaneo dire: «Per ora, sto bene».
Se un risvolto positivo c’è consiste nell’invito a considerare la vita come dono e ad accogliere ogni giorno con gratitudine, nell’imparare a stare soli e, per chi crede, a riscoprire la presenza del Signore in ogni istante e a non sprecare il nostro tempo in cose inutili e vane.
Questo Natale “povero” anche di affetti e di relazioni lo rende più simile al vero Natale di Gesù in luogo inospitale e circondato da poche persone, anche se poi giunsero gli umili pastori e i saggi magi.
Ogni Natale è, ad un tempo, triste e lieto. Triste per la pandemia che ci minaccia e ha mietuto e miete tante vite a noi carissime. Ogni Natale, in verità, ci reca mestizia ogni volta che guardiamo il posto che le persone a noi care hanno lasciato vuoto, incolmabilmente vuoto. Il Natale scorso loro erano ancora con noi; la loro amata presenza, il loro volto, il loro sorriso, le loro parole affettuose ci donavano luce e calore. Nel contempo il Natale ci infonde speranza e consolazione e reca letizia. La speranza che i nostri incontri e le nostre vite con tante care e indimenticabili persone non costituiscano una parentesi ormai irrimediabilmente chiusa ma preludano a reincontrarci tutti nel Signore per una esistenza non più minacciata dal male e dalla morte.
Chi di noi non rimane stupito ed estasiato di fronte alla culla di un bambino e di una bambina? Ricordo tra le molte pagine di letteratura, le ultime del “deserto dei Tartari” quando Drogo stanco e malato, entrando nella taverna in cui morirà, si imbatte in un neonato.
Il fascino del Natale di Gesù è certamente collegato alla gioia che ogni nascita reca. La nascita di un essere umano è un evento meraviglioso che cotrobilancia in positivo i decessi, in questo tempo di covid troppo numerosi.
È anche vero che alla culla di ogni bambino sorge spontanea la domanda “che ne sarà di questo bambino?”. E vengono in mente le parole del salmo 103: “L’uomo: come l’erba sono i suoi giorni! Come un fiore di campo, così egli fiorisce.
Se un vento lo investe non è più, né più lo riconosce la sua dimora”; o ancora le amarissime sentenze dei tragici greci: “meglio per l’uomo non essere mai nato”.
Il Natale risponde a questo pessimismo non solo con le parole ma con i fatti. Se il Figlio di Dio si è fatto uomo, se ha scelto di nascere come noi, di far parte della nostra umanità vuol dire che vale la pena di nascere e di vivere. Con la sua parola e con la sua vita egli ci ha mostrato che la vita non fa naufragio nella morte ma che il nostro ultimo approdo sono le braccia accoglienti e il cuore misericordioso del Padre. Non la solitudine ma la compagnia (comunione dei santi), è il porto a cui giungeremo. “Saremo sempre con il Signore” ci assicura San Paolo.
Alla luce del Natale, colto nel suo vero significato religioso e umano, vogliamo interpretare gli avvenimenti di questi giorni.
Vogliamo affidare al Signore tutti i nostri defunti deceduti per il covid o per altre patologie.
Ricordare e pregare per tutte quelle e quelli che non possono partecipare di persona alle nostre celebrazioni per fondate ragioni di prudenza.
Pregare per i nostri bambini, ragazzi e giovani che vivono momenti difficili per il venir meno o per la drastica riduzione degli apporti culturali ed educativi, delle occasioni di socializzazione e di relazioni proficue.
Approfittiamo di questa diminuzione quantitativa dei nostri rapporti per scoprire il valore del silenzio, della riflessione, della lettura approfondita e meditata, per migliorare qualitativamente i nostri rapporti.
Ricordiamo tutto il bene che abbiamo ricevuto per ringraziare il Signore e anche le persone che ci hanno beneficati. È questa una preziosa opportunità per curare e guarire la nostra ingratitudine, superficialità e noncuranza.
È tempo propizio per ricucire, o almeno tentare di farlo, qualche strappo avvenuto il passato.
Finalmente l’impianto di riscaldamento è funzionante anche se è ancora sottoposto a verifiche e calibrature. Un immenso grazie a quanti hanno contribuito a questa opera. Chissà se in futuro potremo anche provvedere alla riparazione delle campane e a predisporre un servizio igienici decoroso accessibile dalla chiesa.
Ma soprattutto intendo ringraziare le persone che a vari livelli e con diverse competenze collaborano per attuare le iniziative e i servizi che tengono viva la nostra comunità. Il Signore li ricompensi come lui solo sa fare.
In questo Natale, il Signore vi colmi di tutti i beni, quelli che voi desiderate e quelli che Lui sa essere più preziosi per voi, vi custodisca in salute e benedica voi e le vostre famiglie. Buon Natale e Buon Anno Nuovo!!! Don Carlo
Il 2 di gennaio si festeggiano due grandi amici: Basilio il Gande e Gregorio vescovo di Nazianzio
Basilio, vescovo di Cesarea in Cappadocia, detto Magno per dottrina e sapienza, insegnò ai suoi monaci la meditazione delle Scritture e il lavoro nell’obbedienza e nella carità fraterna e ne disciplinò la vita con regole da lui stesso composte; istruì i fedeli con insigni scritti e rifulse per la cura pastorale dei poveri e dei malati; morì il primo di gennaio a soli 49 anni.
Gregorio, suo amico, vescovo di Sásima, quindi di Costantinopoli e infine di Nazianzo, difese con grande ardore la divinità del Verbo e per questo motivo fu chiamato anche il Teologo.
La mirabile pagina di Gregorio riportata sotto narra il sorgere di questa amicizia, il luogo in cui è nata e le sue caratteristiche.
Entrambi nativi della Cappadocia (l’attuale Turchia centrale) Basilio e Gregorio vanno ad Atene per brama di imparare e ansia di sapere; a cercare l’amore per la sapienza. La loro emulazione è scevra d’invidia e vuol permettere all’altro di primeggiare. Un’amicizia che coltiva l’amore della virtù e che considera grande onore essere e chiamarsi cristiani.
Dal Discorso 43 di san Gregorio Nazianzeno, vescovo (Disc. 43, 15. 16-17. 19-21; PG 36, 514-523)
“Eravamo ad Atene, partiti dalla stessa patria, divisi, come il corso di un fiume, in diverse regioni per brama d'imparare, e di nuovo insieme, come per un accordo, ma in realtà per disposizione divina. Allora non solo io mi sentivo preso da venerazione verso il mio grande Basilio per la serietà dei suoi costumi e per la maturità e saggezza dei suoi discorsi inducevo a fare altrettanto anche altri che ancora non lo conoscevano. Molti però già lo stimavano grandemente, avendolo ben conosciuto e ascoltato in precedenza. Che cosa ne seguiva? Che quasi lui solo, fra tutti coloro che per studio arrivavano ad Atene, era considerato fuori dell'ordine comune, avendo raggiunto una stima che lo metteva ben al di sopra dei semplici discepoli. Questo l'inizio della nostra amicizia; di qui l'incentivo al nostro stretto rapporto; così ci sentimmo presi da mutuo affetto. Quando, con il passare del tempo, ci manifestammo vicendevolmente le nostre intenzioni e capimmo che l'amore della sapienza era ciò che ambedue cercavamo, allora diventammo tutti e due l'uno per l'altro: compagni, commensali, fratelli. Aspiravamo a un medesimo bene e coltivavamo ogni giorno più fervidamente e intimamente il nostro comune ideale. Ci guidava la stessa ansia di sapere, cosa fra tutte eccitatrice d'invidia; eppure fra noi nessuna invidia, si apprezzava invece l'emulazione. Questa era la nostra gara: non chi fosse il primo, ma chi permettesse all'altro di esserlo. Sembrava che avessimo un'unica anima in due corpi. Se non si deve assolutamente prestar fede a coloro che affermano che tutto è in tutti, a noi si deve credere senza esitazione, perché realmente l'uno era nell'altro e con l'altro. L'occupazione e la brama unica per ambedue era la virtù, e vivere tesi alle future speranze e comportarci come se fossimo esuli da questo mondo, prima ancora d'essere usciti dalla presente vita. Tale era il nostro sogno. Ecco perché indirizzavamo la nostra vita e la nostra condotta sulla via dei comandamenti divini e ci animavamo a vicenda all'amore della virtù. E non ci si addebiti a presunzione se dico che eravamo l'uno all'altro norma e regola per distinguere il bene dal male. E mentre altri ricevono i loro titoli dai genitori, o se li procurano essi stessi dalle attività e imprese della loro vita, per noi invece era grande realtà e grande onore essere e chiamarci cristiani”.
Gregorio definito “poeta di Dio” è stato senza dubbio uno dei più grandi poeti cristiani di lingua greca. Lo dimostra questa bella pagina nella quale spiega il senso del Natale:
«Il Verbo stesso di Dio, colui che è prima del tempo, l’invisibile, l’incomprensibile, colui che è al di fuori della materia, il Principio che ha origine dal Principio, la Luce che nasce dalla Luce, la fonte della vita e dell’immortalità, l’espressione dell’archetipo divino, il sigillo che non conosce mutamenti, l’immagine invariata e autentica di Dio, colui che è termine del Padre e Sua Parola, viene in aiuto alla sua propria immagine e si fa uomo per amore dell’uomo. Assume un corpo per salvare il corpo e per amore della mia anima accetta di unirsi ad un’anima dotata di umana intelligenza. Così purifica colui al quale si è fatto simile. Ecco perché è divenuto uomo in tutto come noi, tranne che nel peccato. Fu concepito dalla Vergine, già santificata dallo Spirito Santo nell’anima e nel corpo per l’onore di suo Figlio e la gloria della verginità. (…). Colui che dà ad altri la ricchezza si fa povero. Chiede in elemosina la mia natura umana perché io diventi ricco della sua natura divina. E colui che è la totalità, si spoglia di sé fino all’annullamento. Si priva, infatti, anche se per breve tempo, della sua gloria, perché io partecipi della sua pienezza. Oh sovrabbondante ricchezza della divina bontà!». (Disc. 38,13)
Quando fu costretto a lasciare la cattedra patriarcale di Costantinopoli così salutò la sua comunità:
«Addio, augusta basilica, addio, Santi Apostoli (…) Addio, cattedra pontificale. Addio celebre città, eccelsa per l’ardore della fede e l’amore verso Gesù Cristo. Addio, Oriente e Occidente, per i quali ho tanto combattuto, e che mi avete esposto a tante battaglie. Addio, miei figli, conservate l’eredità che vi è stata affidata. Ricordatevi delle mie sofferenze e che la grazia di nostro Signore Gesù Cristo sia sempre presso di voi».
Eccoci giunti, cari parrocchiani, amici e frequentatori, alla FESTA PATRONALE PARROCCHIALE 2019. Due eventi lieti colmano i nostri cuori di gioia e li aprono alla speranza.
Uno è già iniziato: la costituzione dell’associazione “NOI REAGLIE APS” che dà consistenza organizzativa e futuro alla nostra bella comunità reagliese. È vero che in corso Chieri 124 ha sede la benemerita “Unione Familiare Reaglie” alla quale auguriamo lunga vita, con la ben nota Trattoria Bocciofila, e al 121/6 il CISV (Comunità Impegno Servizio Volontario) associazione internazionale che opera a livello mondiale per il dialogo, la conoscenza e la promozione delle popolazioni in difficoltà. “Noi Reaglie” intende aggregare e sostenere le iniziative ecclesiali religiose, culturali e ricreative della nostra comunità da sempre aperta e accogliente verso tutti e disposta a collaborare con le altre associazioni. “Noi Reaglie” rappresenta un’assunzione di responsabilità da parte di laici (non che non ci sia stata in passato e non ci sia anche oggi!) per ravvivare la vita della comunità mantenendola viva e operosa anche in un futuro in cui la penuria di clero non permetterà più di avere un parroco per ogni comunità ma che non segnerà affatto – si spera – la disgregazione delle comunità, ma, al contrario le compatterà e incrementerà la loro assunzione di responsabilità.
È chiaro che questo avverrà solo se ciascuno sarà disposto a mettere a servizio degli altri le proprie energie, competenze, i propri talenti e non pretenderà solo di fruire di alcuni servizi prestati dagli altri. In parole povere: se non ci siede a tavola per essere serviti ma ci si cinge il grembiule per servire.
La seconda bella notizia di qualcosa che non si è ancora fatto evento ma che speriamo lo diventi presto è il nuovo impianto di RISCALDAMENTO della chiesa. Da quando ho messo piede nella chiesa di Reaglie questo è stato il mio cruccio. Umidità e freddo hanno sempre reso la nostra chiesa inospitale e vi confesso che io stesso non vedevo l’ora di uscire. Questo ci ha sempre proibito di tenere incontri di preghiera e organizzare concerti. Ora finalmente, con la vostra generosità, in tempi difficili finanziariamente, ci avete permesso di raccogliere una cifra che ottempera alle ferree regole imposte dell’ufficio amministrativo della curia. Con l’ufficio dei Beni Culturali e Architettonici della curia e la Sovrintendenza il percorso è stato lungo e arduo. Grazia al buon lavoro di due architetti si è forse giunti a persuadere la Sovrintendenza che l’unico sistema adatto alla nostra chiesa è quello da noi proposto. Su questa vicenda io e i miei collaboratori potremmo scrivere un romanzo ma non intendo tediarvi oltre.
Le due (solo due? direte voi!) note dolenti sono le seguenti. Incomincio con quella più personale. Il 24 settembre ho compiuto (ho consumato!) 78 anni e ho subito iniziato a rosicchiare i 79, secondo il computo dei romani. Chi con me condivide la sorte degli ultrasettantenni sa che cosa significa: stanchezza (un amico prete mio coetaneo suol rispondere al rituale “come stai? “Stancamente bene!”), dimenticanza, lentezza, inconcludenza. Vi assicuro che mi è di grande conforto la vostra pazienza e comprensione.
La seconda nota dolente è connessa con la prima. Voi tutti sapete quanto sia disagevole e rischioso immettersi dalla strada comunale di Reaglie in Corso Chieri, soprattutto quando, con il passar degli anni, la vista non si acuisce. Ora io mi aspettavo che l’acume, la solerzia e la creatività degli addetti alla viabilità risolvesse il problema. Mi sono adoperato, ho battagliato, mi sono creato la fama di parroco rompiscatole ma, come si suol dire, non ho cavato un ragno dal buco. Credo che gli angeli custodi abbiano un gran da fare a quell’infausto incrocio.
In questa prima domenica di ottobre, come è ormai consuetudine, celebriamo la festa patronale. Ringraziamo il Signore per averci donato questo ameno e verdeggiante lembo di terra che è Reaglie, un po’ umidino e poco solatìo, ma ugualmente bello, per i reagliesi, buoni e accoglienti, compresi quelli che guidano all’insegna del “fatti in là che arrivo io” ai quali vien da dire con i romani “ecché, me pituri?”, e soprattutto per averci dato questa Madre tenera e solerte che “molte fiate liberamente il dimandar precorre” (Dante). Che Maria esaudisca e prevenga le nostre richieste!
Buona Festa!
don Carlo Collo